I giocatori contano di più – in caso contrario non si spiegherebbero i sei scudetti vinti da Milan (1) e Juventus (5) «senza allenatore» – ma lasciatemi spendere due parole su Thiago Motta, ribattezzato in epoca non sospetta «Drago» Motta. Il suo Bologna non tocca ancora – e forse non toccherà mai, vista la rosa – i picchi dello squadrone del Dottor Pedata che giocava «come si gioca in paradiso», ma come gioca, sorbole! Due a zero alla Roma, quarto posto in classifica, il Dall’Ara in stato delirante.
I triangoli verticali che hanno ispirato i gol di Moro e della ditta Kristensen-Ndoye appartengono al calcio che ci piace gustare. La forza delle idee al servizio della hybris agonistica. Calafiori centrale è pura adrenalina, e quando Arnautovic mollò gli ormeggi, i parenti, sul molo, sventolarono tristi fazzoletti. Viceversa, ecco Zirkzee: un Van Basten nei tocchi, nelle sponde, non ancora al momento dello sparo. Lunga è la strada, ma ha 22 anni, tempo al tempo. E poi i cingolati di Ferguson, gli strappi di Ndoye, la malizia di Freuler, l’effervescenza di Moro. Compreso Ravaglia, il portierino di riserva, provvidenziale su Belotti.
Per carità , togliere Lukaku e Dybala a quella mina parlante di Mou equivale a strappare il passamontagna ai leoni da tastiera, ma pure così, sul piano dei nomi, l’ordalia si annunciava – almeno a livello tecnico e tattico – equilibrata. Ed equilibrata in un certo senso lo è stata, a tratti persino caotica, isterica. Non appena, però, la manovra chiedeva ai piedi di salire, erano i piedi del Bologna a farla lievitare.
Per una volta – memori, forse, degli sgarbi passati: non pochi, non lievi – gli arbitri gli hanno offerto una piccola carezza, alludo al mancato rosso, per cumulo, a Beukema, verso il 60’, con il risultato già in ghiaccio. Motta lo ha subito sostituito. Alla morale della favola preferisco immaginare Sinisa e Civ. Bei passeroni.